Enzo Rossi-Roiss

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ZIBAL – ROISS -DONE VENEZIANO

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DELLA CONTISSA TAGLIAPIETRA

BEATA MIRACOLOSA VENEZIANA


Scrivo ciò che scrivo per rievocare e ricordare la Beata Contissa Tagliapietra non più venerata e festeggiata a Venezia, la cui miracolosità è stata invocata durante 500 anni (1300-1800) dalle mamme che hanno posto i loro “infanti“ a sedere sulla sua bara (prima cassa di legno, poi urna di marmo), esposta sopra l’Altare dei Calcineri (e di S.Antonio Abate) nell‘antica Chiesa di S.Vio demolita nel 1808. Compiendo una ritualità propiziatoria foriera di salvezza (sopravvivenza) in ogni caso di caduta nell’acqua: “…coll’opinione certa che in caso di naufragio sarebbero rimasti galleggianti sopra l’acqua, tanto tempo quanto li avevano mantenuti seduti sopra la cassa o sopra l’altare“.

Supponendo che tra questi “infanti“ possano essere annoverati anche tre veneziani illustri per aver compiuto prodigi scrittòri: Ferrante Pallavicino, scrittore seicentesco morto decapitato ad Avignone all’età di 29 anni il 5 marzo 1644, per avere scritto e pubblicato un libro intitolato “La retorica delle puttane“, alludendo a poteri chiesastici esercitati puttanescamente; Giorgio Baffo poeta erotico settecentesco, morto inedito over 70 dopo aver versificato la mona a futura memoria delle sue imprese copulatorie; Giacomo Casanova scrittore e avventuriero libero-libertario-libertino, archetipo inimitabile da ogni amatore collezionista d’innamoramenti utili e futili finalizzati.
La Beata Contissa Tagliapietra, nacque borghese e benestante da Nicolò ed Elena nel 1288 a Venezia nell’attuale Campo San Vio, dove morì il 1° novembre 1308 (quattro anni dopo la nascita del poeta Francesco Petrarca): in una casa che fu demolita nel 1310, come altre costruzioni con l’affaccio di là dal canale sullo stesso campo, tra la chiesa e il Canal Grande, per ampliare il Campo e agevolare l’approdo del Bucintoro e del corteo dogale.
Non risulta nata da un Conte poichè la sua famiglia originaria (di Rovigno/Rovigo) non risulta tra le famiglie patriziate nel 1310 per essersi distinte nella Guerra con Genova 1294-1298, risultando patriziata tra le famiglie (Casade Novissime) cooptate nel 1381 per l’accesso al Maggior Consiglio, essendosi distinte nella Guerra di Chioggia. Contissa è, perciò, il suo nome di battesimo.
Ha goduto a lungo notorietà e crediti miracolistici, meritandosi l’intestazione di vie come Beata Contessa Tagliapietra, perché quasi immediatamente dopo la sua morte ebbe inizio “…l’uso di porre i bambini a sedere sul suo corpo conservato nella Chiesa di S.Vio, perchè in caso di naufragio potessero galleggiare sull’acque“: come lei stessa aveva galleggiato sull’acqua del Canal Grande (automiracolandosi) per traghettarsi su un panno di lino navigante (leggendarizzato come “tappeto navigante”) dalla riva di Campo San Vio alla riva opposta, per raggiungere nella Chiesa di S. Maurizio un Direttore Spirituale col quale colloquiare disapprovata e osteggiata dai suoi genitori che avevano proibito alle barche posteggiate sulla riva di traghettarla.
Il suo corpo mummificato, con abbigliamento e accessori settecenteschi, risulta conservato in una bara vetrinizzata di cm.132, collocata in un vano la cui base di appoggio misura cm.140. Si può supporre, quindi, che abbia avuto in vita una bassa statura. E’ visibile, a richiesta, “loculato” nel vano sottostante il piccolo altare della Sacrestia nella Chiesa San Maurizio ricostruita e consacrata nel 1829 in Campo San Maurizio, convenientemente occultato agli occhi dei visitatori. Dopo essere stato esposto poco distante dalla Chiesa della Salute, nella Chiesa di San Vio (luogo di sepoltura anche del corpo della pittrice Rosalba Carriera), fino al 1808 , anno in cui tale chiesa è stata chiusa prima di essere demolita nel 1813.
La Tagliapietra, però, non fu mai beatificata dall’Autorità Ecclesiale Vaticana, malgrado la sua miracolosità. Anche perchè il suo culto fu vanamente proibito nel 1581, poichè fu considerato “superstizioso“ da alcuni Visitatori Apostolici, memori delle norme riformatrici del Concilio di Trento (1545-1563) e allarmati dalla diffusione del protestantesimo generato da Martin Lutero (1483-1546) con l’affissione delle sue 95 tesi sulla porta della chiesa di Wittenberg il 31 ottobre 1517. Fu beatificata soltanto dalla opinione popolare condivisa per convenienza (congruità) dall’Autorità Ecclesiale Veneziana.
Una formale richiesta di beatificazione inoltrata dall’Autorità
Patriarcale veneziana al Pontefice Clemente XIII nel 1765 fu ignorata. Fino al momento in cui il Cardinale Jacopo Monico, Patriarca veneziano dal 1827 al 1851, al termine di una sua Santa Visita, non decretò la sospensione del culto popolare, promuovendo un approfondito chiarimento della questione riguardante la sua personalità.
Una personalità con proprietà taumaturgiche riferite soltanto oralmente ”…per fama antica e costante e insistita tradizione…mai interrotta“, e ”…per averle sentite da tutti li vecchi della Parrocchia“, e ”…per aver trovato certi tratti di queste verità in carte vecchie“ che non erano sopravvissute ai roghi disinfestanti durante ogni peste: col di più distrutto probabilmente dall’incendio delle scritture della Chiesa di S. Maurizio residenza del Direttore Spirituale della Tagliapietra, il venerabile Antonio Del Corpo, citato da Leonardo Carrara in una memoria registrata nel 1632.
Una personalità descritta sommariamente e leggendarizzata, quindi, di secolo in secolo da persone invecchiate, portavoci acritiche di antenati ancora più vecchi a cominciare dal 1300, anno medioevale durante il quale furono utilizzate (strumentalizzate) reliquie generate e accreditate a gogò per ogni uso chiesastico, compresa la Sacra Sindone: viventi Dante Aligheri (1265-1321) già autore di molti libri, impegnato a scrivere dal 1300 la Divina Commedia (nel supposto tempo “mezzo del cammin” di sua vita), e Francesco Petrarca (1304-1374) impegnato a scrivere i testi per il suo “Canzoniere“.
Il più antico e unico documento tipografico consultabile è un opuscolo stampato nel 1765, illustrato con la riproduzione calcografica di un dipinto agiografico: quasi certamente un dipinto appartenuto ai Fratelli Lucchini, “…di mano antica e bene espresso, fatto al terminare del 1400, venendo il 1500“, come si legge in un expertise dei pittori Giuseppe Angeli e Tomaso Bernardi, sottoscritto il 10 settembre 1764.
Il testo che segue si legge sul frontespizio: Alla Santità del Nostro Signore CLEMENTE XIII Memoriale di Monsig. Patriarca di Venezia e Vescovi Suffraganei per la conferma ed augmento del culto della Beata Contissa detta volgarmente Contessa Tagliapietra vergine nobile veneta in Venezia MDCCLV. La raffigura anche un dipinto (cm.104×77) espertizzato il 19 aprile 1765 dallo stesso pittore Bernardi come “…opera di mano dell‘Aliense fatto dell’anno 1600“, collocato dal 1620 con altri 27 (stesse dimensioni) raffiguranti altri Santi e Beati veneziani, nella Cappella della Natività di Gerusalemme della Chiesa dei R.R.Padri Cistercensi della Madonna dell’Orto (sestiere Cannareggio).


MARTIRIOLOGIO DI UN ELEFANTE

COMPIUTO IN UNA CHIESA

A VENEZIA IL 16 MARZO 1819

esercizio scrittorio

pro narrazione di un accadimento unico


ILZE JAUNBERGA: “Martiriologio di un elefante a Venezia

PREMESSA EDITORIALE

E’ un libro/dossier scritto da un Autore che ha scritto e pubblicato altri libri/ dossier: abile nel dossierare fatti e persone, di ieri e di oggi, con linguaggio arguto e documentazione erudita ineccepibile. E’ stato concepito a Venezia per narrare l’accadimento che il titolo esplicita e riassume: costringendoci alla lettura di tutto ciò che l’Autore ha scritto, per sapere Chi Come Dove Quando Perchè?Come ogni dossier contiene, ovviamente e necessariamente immagini che illustrano la narrazione e reperti bibliografici d’annata che la documentano e supportano: con le date precisate e i luoghi incontestabilmente identificati.Il Rossi-Ròiss ha dossierato le Grand Maitre du Monde de l’Art Piero Manzoni (1933-1963) e le Petit Maitre du Pays de l’Art Concetto Pozzati (1935), l’attribuzione a Francis Bacon di una frenetica attività disegnatoria in Italia pro individuo bolognese megalomane sfaccendato, la Cartapesta & Cartapestai & Cartapestologi dalle origini ai nostri giorni, il Mondo Lettone made in Italy, il Delitto Murri del 1902 e la colpevolezza di Tullio Murri (uno dei suoi protagonisti), la liberazione di Genova compiuta nel 1945 dal Comandante Gino e i partigiani della Brigata Severino, le Apparizioni mariane (sia quelle riconosciute, sia quelle misconosciute), il Carnevale di Ivrea con la sua Battaglia delle Arance, l’Arte & l’Artisticità in pubblicazioni periodiche e monografiche, l’eros letteratureggiato e visualizzato, il commediografo bolognese inteatrato Renato Lelli, la striptease Dodo D’Hambourg star del Crazy Horse di Parigi.

Il Rossi-Ròiss proviene dall’attività giornalistica intrapresa nel 1959, l’elenco dei libri che ha già pubblicato è abbastanza lungo e webizzato anche in un sito personale, con molti dei suoi “fuoricatalogo”, divenuti “libri unici”, mercanteggiati dalle librerie del www.MareMagnumLibrorum.com. Stessa sorte avrà sicuramente questa pubblicazione monografica, custodia libresca di reperti biblio-visivi memoriali che l’autore dossierante ha recuperato e restaurato con attenzione e perspicacia.

Premessa Autorale

La narrazione che segue questa “Premessa” è un esercizio di stile scrittorio compiuto nel ruolo di un finto cronista veneziano del giorno dopo, con presunte doti di preveggenza che gli consentono di anticipare accadimenti successivi e reperti iconografici e bibliografici meritevoli di essere repertorizzati. Risulti dilettevole la lettura e sorprendente la documentazione.

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A Venezia è stato cannoneggiato e ucciso dalla gendarmeria austriaca un elefante indiano cinquantenne (che 200 anni dopo risulterà quindicenne, massimo ventenne, invece!), ammaestrato con imput lessicali in lingua francese, alto 7 piedi e mezzo, pesante 4622 libbre grosse venete (2.203,4 kg), nella Chiesa Sant’Antonin alle ore otto e quattro minuti antimeridiani del 16 marzo 1819, giorno quaresimale. Durante i giorni del carnevale, conclusosi il 23 febbraio, è stato mostrato in apposito casotto, con altri animali esotici in altri casotti, sbarcato sulla Riva degli Schiavoni nel Sestiere Castello dal “mostratore” svedese Claudio Garnier (originario di Gauter Corout), tra il Ponte del Sepolcro e il Ponte della Cà di Dio.
E’ stato ucciso per impedirgli di causare danni alle cose e alle persone, maggiori dei danni già causati rifiutandosi a ogni tentativo d’imbarco, uccidendo il suo giovane custode Camillo Rosa di Rovigo e travolgendo di tutto durante la fuga fino alla chiesa, inseguito e bersagliato dalle fucilate dei gendarmi.
Venti uomini armati di funi e di leve hanno imbarcato e trasportato la sua carcassa al Lido, coperta da stuoie su una chiatta, alle ore 5 pomeridiane con l’ordine di seppellirla. Un contrordine del Commissariato Speriore l’ha fatta, poi, traslocare due ore dopo sull’Isola della Giudecca nella chiesa dismessa di San Biagio (usata come ospedale per le malattie contagiose nel 1814-1816 e destinata alla demolizione per favorire nel 1882 la edificazione del Molino Stucky): dove sarà mantenuta pulita con lavacri continui di acqua salata, per essere sezionata e studiata dal Prof. Stefano Andrea Renier, aiutato dal Dott. Paolo Zannini marito di Adriana Renier. Con l’intento di salvaguardare e ricomporre le ossa del suo scheletro che sarà esposto nella Pubblica Galleria di Storia Naturale (non ancora Museo Zoologico) della Università di Padova.
Il Renier e la sua equipe daranno inizio ai lavori di concia della pelle e sezionamento del cadavere il 24 marzo, eseguendo molti schizzi e disegni delle diverse parti anatomiche e delle ossa, per poterlo rimontare poi correttamente. La conclusione di tali lavori è prevista per l’autunno, destinata ad essere considerata dai posteri impresa epica e memorabile
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Claudio Garnier ha riferito di avere acquistato l’elefante per 20.000 franchi (30.088 lire venete) dagli eredi del duca tedesco Federico di Wurstemberg, divenuto Re nel 1806 e morto sessantaduenne il 30 ottobre 1816: monarca di un Regno Breve… perciò. L’avrebbe condotto e “mostrato” a Milano, fosse riuscito a imbarcarlo. Meditando su una richiesta d’acquisto dell’Accademia di Berlino, alla quale aveva comunicato di essere disposto a venderlo per 1.200 luigi d’oro (equivalenti a 55.231,3 lire venete).
Il pachiderma si è ribellato all’imbarco, perché reso inquieto da evidenti pulsioni sessuali primaverili irreprimibili e dopo ripetuti tentativi d’imbarco falliti, causa non ultima l’instabilità della passerella collegata al barcone predisposto all’uopo. La sua ribellione l’ha manifestata uccidendo il suo giovane custode, dopo averlo aggredito con la proboscide un’ora dopo la mezzanotte, terrorizzando gli astanti sulla riva e causando il ribaltamento in acqua di altri in piedi sopra un battello.
La gendarmeria austriaca presente, comandata dal Commissario Tolomei, ha reagito sparandogli addosso tante pallottole da spingerlo a correre terrorizzato di qua e di là sulla riva tra i due ponti, dove ha travolto alcuni casotti predisposti per altri animali e il chiosco di un fruttivendolo, sfondando anche una caffetteria, prima d’inoltrarsi nella Calle del Dose dove ha avuto inizio il percorso che lo ha condotto nella chiesa luogo della sua esecuzione sommari.
In Campo della Bragora è stato bersagliato dai gendarmi austriaci con particolare accanimento, costringendolo a infilarsi nella Salizada del Pignater e poi nella Calle morta del Forno Vecchio, dove si è ritrovato nella corte di un’abitazione privata, con pozzo di marmo e scala di legno che ha danneggiato stramazzando al suolo, tanto da farsi supporre colpito a morte. Invece si è rialzato e ha ripreso la corsa, dopo aver terrorizzato una vedova con quattro figli già nei letti in una camera con l’affaccio nella calle, data l’ora oramai notturna: prima di percorrere la Salizada Sant’Antonin fino al ponte che non è riuscito a superare, incalzato da fucilieri inefficienti.
Un ultimo tentativo di salire sul Ponte Sant’Antonin lo ha concluso rinculando fino a colpire e sfondare il portone d’ingresso della chiesa dove si è introdotto e mosso nel buio, col risultato finale d’infrangere quattro lastre tombali e immobilizzarsi nel loro vuoto sottostante, dopo aver rotto la colonna piedistallo dell’acquasantiera e fracassato alcune panche. Per la sua esecuzione sommaria nella chiesa mediante l’uso del cannone sono state necessarie le autorizzazioni delle Autorità Civili e Militari, unitamente all’assenso dell’anziano Patriarca Francesco Maria Milesi (76 anni ani) destato quattro ore dopo la mezzanotte.
Il cannone è stato fornito alle ore 7 antimeridiane dal presidio militare insediato all’Arsenale con l’artificiere e i serventi che lo hanno collocato con la bocca di fuoco inserita in un buco praticato ad hoc nel muro laterale della chiesa, prima di sparare due colpi alle ore 8. Una soltanto delle due cannonate, però, ha colpito l’animale perforandogli il deretano con una palla tanto da farlo stramazzare al suolo e morire dissanguato.
Il Prof. Stefano Andrea Renier, ordinario di storia naturale, si è attivato immediatamente il 17 marzo perché la carcassa del pachiderma sia acquistata dal governo veneziano per essere studiata e conservata (convenientemente trattata per la bisogna) nella Galleria di Storia Naturale della Università di Padova.

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Scritto ciò per dovere di cronaca, è possibile, ora, continuare a scrivere per anticipare che tutto quanto è accaduto sarà variamente descritto in alcune relazioni gazzettiere che saranno stampate e vendute pubblicamente, con e senza illustrazioni. E che il Renier riuscirà a ottenere l’acquisto dell’elefante cannoneggiato: spendendo 2.080 lire venete per l’acquisto, più 3.064,32 per la conciatura e montatura della pelle, la imbiancatura e riduzione dello scheletro e la conservazione dei visceri. Operando, successivamente, coadiuvato da una equipe della quale faranno parte Girolamo Molin e Paolo Tannini.
Al termine dei lavori di studio e conservazione, in una lettera al Rettore dell’Università di Padova Antonio Marsand, il Renier scriverà: “Con compiacenza lo trovai in discreto stato, con la pelle che ad onta di aver avuto più di cinquecento fucilate non aveva che otto dieci forellini e la cannonata ricevuta fu nel deretano e la palla gli rimase dentro, quindi la pelle in ottimissimo stato”.
Le casse contenenti le spoglie dell’elefante sezionate e schedate saranno portate a Padova per via d’acqua il 24 marzo.
Saranno pubblicati e divulgati due poemi intitolati “Elefanteide” (Pietro Buratti) in ottava rima dialettale e “L’elefanticidio” (Pietro Bonmartini) in lingua italiana, destinati ad essere bibliotecati dalla Marciana: più un testo teatrale in dialetto veneto intitolato “I curiosi accidenti occasionati dall’Ellefante in Venezia nel 1819, con farsa“ (Niccolò Zanon) che sarà messo in scena il 2 marzo 1821 (una tantum), con annuncio nella Gazzetta Privilegiata di Venezia, dalla Comica Compagnia Luigi Favre e Piomarta, “…fra un gran romore di fischi”, al Teatro S. Luca (prima che sia ri-nomato Teatro Apollo e poi Teatro Goldoni nel 1875).

La proposta della posa di una lapide con epigrafe latina (sul muro della chiesa), resa pubblica dal protocollista al tribunale, anche diarista cittadino, Emanuele Antonio Cicogna (1789-1868), a ricordo dell’elefante cannoneggiato e finanziata dai gentiluomini Angelo Fucci Gradenigo e Francesco Cattaneo, sarà respinta il 18 settembre 1819 dalle Autorità al potere, malgrado la non ostilità al potere austriaco dei proponenti. Il conte Benedetto Valmarana la riceverà in dono e la collocherà sul muro nel giardino del suo palazzo in SS. Apostoli (Cannareggio 4392) destinandola a sopravvivergli corrosa dal salso, con una “Memoria” in bottiglia sigillata con ceralacca murata sul retro.

Sarà re-intitolata Osteria dell’Elefante una osteria diversamente titolata, insediata in locali contigui alla chiesa (Castello 3495).

Ferdinando Gumppenberg, stampatore milanese di origine tedesca, rinnovatore dell’antica tradizione dei tarocchi lombardi, lo raffigurerà nell’arcano n. 21 (il Mondo) del mazzo “Mestieri e Vedute” edizione 1820.

Alcuni illustratori lo iconizzeranno in disegni, incisioni e medaglie, variamente sceneggiato. A futura memoria di chi deciderà di ricordarlo e rievocarlo con testi scritti e opere visive, anche a distanza di due secoli, in concomitanza col Carnevale di Venezia 2011 a cura di un mio omonimologo.
Con lo scheletro restaurato pezzo dopo pezzo, e rimontato nel 2004, dopo essere stato smontato nel 1979, per la sua sistemazione e custodia definitiva nel Museo di Zoologia della Università di Padova, rispettando il lavoro che sarà compiuto dal Renier con i suoi collaboratori.


ANNOTAZIONI

Ecco la copia fedele di una Relazione Stampata e pubblicamente venduta

DESCRIZIONE
di quanto accadè intorno all’Elefante nelli giorni 14-15-16 marzo 1819 in Venezia

A – Quell’Elefante che per tutto il Carnevale fu oggetto d’ammirazione e di piacere per questa popolazione, cangiatosi in questi dì in soggetto di spavento, fu cagione di molti discorsi, e delle vigili cure della Polizia.

B – Varie si annunziano cagioni d’insolita indocilità manifestata dall’animale nel principio della Quadragesima.

Noi non possiamo stabilire quale sia la vera, ma possiamo assicurare ch’egli era giunto ad imporre non solo al Padrone, ma eziandio al Custode, così che per varie notti vanamente nuovi artifizj s’adoperarono per imbarcarlo.

C – Jeri si tentò più volte. Il popolo accorso in folla sulla Riva per vederlo

Partire, ebbe a spaventarsi grandemente lorchè s’avvide che incollerito retrocedeva.

D – Le sbarre e le Guardie, già prima messe per impedire la sortita al forte animale, garantivano le genti; ma queste non si credevano sicure. Chi qua, chi corre di là, per sfuggire l’immaginato pericolo. Uno dei battelli che pieno zeppo era di curiosi, affondasi. Molti cadono nell’acqua, ma niuno fortunatamente vi rimane annegato.

E – La scorsa notte volevasi dal Casotto farlo passare in altro locale perché fosse meglio assicurato, finchè si avesse potuto trasferirlo in altro paese. Un giovane di 22 anni, che da poco tempo curavalo, e custodivalo, si presta all’opera. Gli mostra un pezzo di pane, e lo precede di pochi passi.

L’Elefante lo segue con qualche tranquillità, e pareva che con tal mezzo quello sarebbe venuto a capo di trasferirlo ove egli voleva.

F – Ma, o perché gli veniva ritardato l’offertogli alimento, o per altro motivo, la bestia monta sulle furie.

G – Allunga i passi, ed attorcigliando al collo dell’infelice la sua Proboscide, lo stende a terra mezzo affogato, e lo calpesta; altrove lungo drizza i suoi passi.

H – Questa sgraziata vittima del coraggio, o forse anco dell’imprudenza, dopo quattro ore, malgrado delle cure d’accorto Professore finì i suoi giorni.

I – Scorre allora veloce l’Elefante dal Ponte del Sepolcro a quello della Cà di Dio, sempre seguito dalla brava nostra Guardia di Polizia.

Urta in un Casotto, e lo rovescia. Un’isolata bottega di legno corre la stessa sorte, ed egli si divora la frutta che quella conteneva.

K – Getta a terra la porta d’una Caffetteria, v’entra, e dicesi che bevesse. Vana resa ogni cura per ammazzarlo, la Guardia gli scarica addosso dei colpi di Carabina, ma la pelle riceve appena dell’escoriazioni.

L – Più incollerisce la Fiera, e prendendo la strada che mette al campo della Bragora, passa per Rio Terrà, ed entra nella Calle del Forno.

M - Atterra la porta e guasta la scala di una Casupola.

N – Le si fa fuoco addosso novellamente; cade, si crede morto, ma, ahi! che avvicinatisi i circostanti la Fiera si rialza.

Chi potrebbe lo spavento descrivere?

O – Sorte di là, e corre al Ponte di Sant’Antonino, non lo monta però, anzi rincula, e d’un solo colpo apre la maggior porta di questa Chiesa, sebbene a’ chiavistelli e serrature fermata.

P – Quivi entra, e rinchiudesi questa porta, e in un colle altre due si assicura perché non possa sortire.

Q – Fracassa molte panche, la pila dell’acqua santa; rompe in quattro luoghi il marmoreo pavimento, ed altri molti vi commette guasti.

R - Finalmente spacca il coperchio d’un Sepolcro, ed in esso cade colle gambe posteriori.

S – Intanto si fora da un lato il muro del Tempio, e vi si adatta un Cannone,

e colpito all’anguinaia da una palla l’inferocito animale è steso morto dopo di avere prima sparso non poco sangue dalle ferite ricevute da un colpo di mitraglia avuto alla distanza di tre passi, e ch’era trovato di piccolo effetto.

T – Commendevolissima è alcerto l’attività e vigilanza dell’Imperial Regio Commissario di Polizia di quel Sestriere, né minor lode si deve al coraggio, ed alla desterità dei Militari, e della Guardia pure di Polizia in questa occasione impiegata, i quali tutti utilmente prestaronsi ad allontanare quei tanti, e più gravi mali che accadere purtroppo potevano, ed erano a ragione temuti.

MOLINARI STAMPATORE

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COMMENTARIO DI PIETRO BONMARTINI

PRIMO FOGLIO

2 - L’ordine preciso della uccisione dell’Elefante fu dato dallo stesso suo Padrone, nominato Claudio Garner di Gauter Corout in Svezia allor quando vide semivivo il Custode che si chiamava Camillo Rosa di Rovigo, e fu dato con questa parola: Fucilatelo.
Molti testimoni circostanti l’udirono, e lo attestano con tutta fermezza.

3 – Il calcolo è fondato sul peso dell’Elefante.

4 – L’Elefante fu acquistato alla corte di Virtembergh (Wurtemberg), ed era colà custodito con molta cura.

5 – Il Re di Virtembergh Federico (nato nel 1754) morto nel novembre dell’anno 1817 (il 30 ottobre 1816, invece).

6 - Dopo la morte di Federico Re di Virtembergh (Re dal 1806 al 1816) fu venduto al sopradetto suo Padrone e si dice per 1.000 zecchini.

7 – L’Elefante era docilissimo ed intelligentissimo, perciò obbediva con tutta prontezza agli ordini del suo Custode come sarebbe un Fanciullo.

8 – Leggasi Tito Livio, e gli altri Scrittori della storia Romana.

9 – Non già per fare pompa d’erudizione, ma soltanto per appoggio alli versi terzo e quarto della presente Strofa gioverà non poco trascrivere ciò che Irzio, o Oppio narrò essere avvenuto nella guerra d’Africa, e che si legge nei Commentarj di Giulio Cesare al Libro V. pagina 244 Edizione d’Aldo, che per comodità del lettore viene anche trasportato nell’Italiana nostra favella.

(segue il testo in latino – non riprodotto – con la traduzione in italiano riprodotta)

TRADUZIONE

Non si può a meno di fare un cenno sul valore d’un Soldato Veterano della Quinta Legione.
Un’Elefante, nell’ala sinistra dell’armata, spinto dal dolore d’una ferita, investì un Vivandiere disarmato, e lo teneva sotto un piede opprimendolo con un ginocchio di sotto il proprio peso, e battendolo a morte colla proboscide, mandava urli tremendi. Il soldato di cui si parla non potè trattenersi, e si vergognò se non si presentava, essendo armato, a fronte dell’Elefante, per attaccarlo; ma quando questo s’avvide che il Soldato gli veniva incontro con un dardo per offenderlo, tosto abbandona il cadavere del vivandiere, e ghermisce il Soldato armato colla Proboscide sollevandolo da terra. Questo conoscendo ad onta del pericolo in cui si ritrovava, l’opportuno espediente, con tutte le sue forze non cessa di tagliare con la sua Spada la Proboscide dell’Elefante, il quale allora forzato dal dolore, lasciato lungi il Soldato, e cacciando urli spaventevoli, correndo a precipizio si rifugiò tra gli altri suoi simili

10 – Era stata dal suo Padrone acquistata una barca, volgarmente detta Trabaccolo, e fattala allestire con apposito recinto doveva l’Elefante su quella essere trasportato in Lombardia, all’oggetto principale di tradurlo a Milano.

11 - Il vero motivo dell’inquietudini dell’Elefante erano gl’influssi della Primavera sul suo Fisico anche troppo scandalosamente manifestati.

12 – Vedi la annotazione N.ro 10.

13 – Questo fu il pessimo progetto del Padrone dell’Elefante che a tutta forza, e con grandissima fretta voleva trasportarlo a Milano, dove era atteso dalla curiosità lodevolissima di quegli abitanti.

14 – L’Elefante obbediva esattamente agli ordini del Custode il quale sempre gli parlava la lingua Francese, ed infatti l’Elefante non intendeva alcun altro linguaggio.

15 – Vedasi il N.ro 1 lettera C.

16 – Se è vero, come è verissimo, che il peso dell’Elefante morto fu rinvenuto ascendere a libre 4622 grosse Venete, questo doveva necessariamente fare di molto inclinare la barca sull’acqua, e questa per errore grossolano del Padrone, non fu prima fatta assicurare o con travi, o con sottoposta zatta, o in qualunque altro più facile modo. Difatti l’Elefante tentò molte volte d’entrarvi.

17 – Il ragionevolissimo timore di cadere nell’acqua impedì alla bestia di montare la barca. Questa verità fu riconosciuta da tutti li curiosi spettatori, fra i quali l’Autore che lo vide con grandissima docilità per ben cinque volte nello spazio di due ore porre nella stessa barca perfino tutte e due le gambe d’innanzi, ma allora questa vieppiù inclinandosi lo faceva per timore retrocedere.

18 – I domestici del Padrone, ed ancora lo stesso suo Custode.

19 – Incolleriva l’animale, per l’accennate torture, ed afferrava con la Proboscide qualche pezzo di tavola del suo Casotto, e lo gettava loro contra e di questi qualcheduno ne lanciò nell’acqua, il che fu poi cagione di timore negli spettatori che erano nelle barche già vicine alla ripa.

20 – L’alimento, e l’acqua furono posti nella barca onde indurlo a entrarvi, ma tutto ciò fu inutile, per quanto si scorge dalla annotazione, quindi la fame, e la sete lo tormentavano. Dalla parte di terra poi il Casotto era guardato, e circondato dai soldati della Guardia di Polizia e dal Satellizio. (Vedi N.ro 1 lettera D.)

21 - Il soprannominato custode Camillo Rosa di Rovigo. (Veggasi il N.ro 1 lettera E.)

22 – Veggasi il N.ro 1 lettera E.

23 – Leggasi il N.ro 1 lettera F.

24 – Vedi il N.ro 1 lettera G.

25 – Osservasi il N.ro 1 lettera 1 Secondo periodo.

26 – Non si critichi l’Autore se stabilisce innocente il suo Eroe, atteso che non vi ha dubbio che una bestia non commette delitto se ammazza un uomo, e tanto meno poi se l’Uomo è per l’Elefante ciò che un Gatto per l’Uomo. (Vedi il N.ro 5)

27 – Veggasi il N.ro 1 lettera K.

28 – Bacone l’inventor della polvere da Cannone in Inghilterra, era un frate.

29 - Lodovico Ariosto nel Furioso al Canto IX.

30 – Vedi il N.ro 1 lettera L.

31 – Veggasi il N.ro 1 lettera M. La citata casupola era olim Lupanar come rilevasi dalla Cronaca Scandalosa.

32 – Nell’annotazione N.1 alle lettere L.M.N. si leggono questi tre paragrafi che ora giova di copiare onde illustrarli.

L - Più incollerisce la fiera, e prendendo la strada che mette al Campo della Bragora, passa per Rio Terrà, ed entra nella Calle del Forno.

M – Atterra la porta e guasta la scala d’una casupola. (Vocabolo Veneziano che significa casa piccola, e cattiva, abitazione di miserabili).

N – Gli si fa fuoco addosso novellamente, cade, si crede morto, ma ahi! che, avvicinatisi li circostanti, la Fiera si rialza.Difettosa perché mancante della necessaria esattezza è la detta Relazione, ed a ciò supplisca questa Annotazione, avendo ben giusto diritto il Lettore di essere informato con iscrupolo storico di tutto ciò che riguardò la catastrofe dell’Elefante.
La cosiddetta Calle del Forno (cioè il Calle toscanamente parlando del Forno) è una Contrada senza uscita, vale a dire volgarmente, formante
Cul-di-sacco, ed è abitata da miserabile plebe.Circa la Casupola poi s’osservi l’annotazione precedente N.ro 31.
Entrato l’Elefante in questa Contrada, ed impossibitatogli l’ulterior fuga dall’accennato
Cul-di-sacco, cercando salvezza, ruppe la porta della detta Casa, ed entrò, ma ritrovato nell’ingresso un pozzo di marmo lo fracassò, ignorandosi poi (attesa l’oscurità e la mancanza di oculari testimoni) se colla Proboscide, ovvero urtandolo col corpo, indi tentando di salvarsi colla fuga, procurò di montare una scala di legno esistente in quella Casa, il che produsse due effetti, cioè la rovina della scala che non sostenne il di lui peso, e l’impossibilità dell’ulterior fuga.Fu a tale punto che gli furono scaricati nuovamente moltissimi colpi di Fucile, e fu allora creduto morto, perché cadde quasi totalmente a terra, inciampato probabilmente nelle rovine del pozzo, o della scala, giacchè l’oscurità non permise di riconoscere il vero motivo, indi rialzatosi illeso dalle palle sortì.
L’interessante da sapersi si è che nell’ingresso di quella
Casupola oltre il pozzo e la scala esiste una porta che dà ingresso ad una Camera terrena, anche in questa tranquillamente dormiva una povera vedova con quattro suoi piccoli figli.Le palle dei Fucili che rispettavano la durissima pelle dell’Elefante, non ebbero la medesima creanza verso la porta della stanza della detta vedova, e quindi liberamente entravano, ed in gran copia, ma fortunatamente volarono al di sopra dei corpi di quell’infelice famiglia la quale per un gran prodigio restò totalmente illesa, ad eccezione per altro dello spavento ben giustamente concepito.
Questa importantissima circostanza precedente l’Elefanticidio non meritava alcerto di restare seppellita nel silenzio, e nell’obblivione.

33 – Effettivamente le Chiese di Venezia erano una volta asilo agli scellerati. Quell’abuso fu levato.

34 – Leggasi il N.ro 1 alla lettera O.

35 – Perfino Angelo Legrenzi Medico Veneziano nella sua Opera che porta per titolo il Pellegrino dell’Asia, Edizione di Venezia dell’anno 1705 alla pagina 271 lo afferma invulnerabile dalle palle del Fucile.
All’Autore di questa Composizione venne fatto di acquistare una di quelle Stampacce di pessima incisione in legno, nella quale esiste il ritratto di quell’Elefante che fu condotto a Venezia nel Carnevale dell’anno 1774, sotto del quale fra le varie nozioni relative all’Elefante, si legge anche questo periodo.

E’ coperto (l’Elefante) d’una pelle durissima, ed impenetrabile alle moschettate, potendo restare offeso solamente sotto il ventre”.
Se il Padrone dell’Elefante ritrovandosi a Venezia avesse letto Legrenzi soltanto, ovvero la sopradetta Stampaccia, non avrebbe al certo ordinato il
Fucilatelo citato.

36 – Nella relazione stampata si legge questo paragrafo.

Fracassa molte panche e la Pila dell’acqua santa, rompe in quattro luoghi il marmoreo pavimento, ed altri molti vi commette guasti”.
La relazione qui confonde la verità colla favola.

Prima di tutto è falso ch’abbia fracassato molte panche, mentre per riscontro fatto dall’Autore e col Cappellano della detta Chiesa, e col Sacrestano, ebbe ad essere fatto persuaso che l’Elefante entrato nel Tempio, ed ivi lasciato tranquillo per lo spazio di due ore (tempo necessario onde ottenere le permissioni Ecclesiastiche, Politiche e Militari, nonché per il trasporto del Cannone, Munizioni, ed Artiglieri dell’Arsenale) svellesse dai loro siti bensì alcune panche colla Proboscide, ma queste furono da lui spinte tutte verso l’Altare della Madonna, formando con esse una barricata dietro di cui si pose, restando per conseguenza situato tra queste, ed il sopradetto Altare, onde garantirsi dalle temute nuove molestie, e torture.
Né qui può tacersi la circostanza che esistendo nel mezzo di detto Tempio un picciolo banco sottoposto ad un Crocifisso, ai piedi del quale continuamente arde divoto lumicino, questo non fu tocco, né smosso dalla bestia incollerita, e spaventata.In secondo luogo spezzò bensì la colonna che sostiene la Pila dell’acqua santa, quantunque di marmo, ma ciò avvenne nella circostanza che un colpo di fucile a tre palle a catena scaricatogli da un Dilettante alla distanza di sei piedi Veneti, lo ferì nell’occhio destro, (ferita che fu poi calcolata mortale come si rivela dal N.ro 42 lettera B) e quindi giratosi allora l’Elefante rinculando pel dolore, urtò la suddetta Pila dell’acqua santa, e ne spezzò la colonna, il che dimostra che l’Elefante fu la causa secondaria di quella spezzatura, e che ciò egli non commise per volere fare guasti.In terzo luogo finalmente è del pari falso che nella Chiesa suddetta abbia in quattro luoghi rotto il marmoreo pavimento.
Il peso del suo corpo è di libbre grosse venete 4622, (vedi la annotazione N.ro 42 alla lettera C) e quindi qual meraviglia, o per meglio dire qual delitto è per l’Elefante, se sotto di quello cede un marmoreo pavimento, il quale ha per base un paludoso terreno qual è quello di tutta Venezia fabbricata per così dire sull’acqua? Vedasi il pavimento tanto mirabile del gran Tempio di San Marco, il tempo e il peso dei divoti, lo fecero cotanto ed in tanti punti abbassarsi che da molti forestieri si crede espressamente fabbricato in quel modo cioè
ad onda ai iniure il che è falsissimo, non essendo quelle varie inclinazioni se non l’opera del tempo. E del peso sopra un non ben solido terreno.
La Relazione n. 1 per desiderio di pronto lucro fu estesa con troppa fretta, e con troppo odio contro dell’Elefante.

37 – Fu già detto di sopra che le Chiese ora non più sono asili ai scellerati, (vedi N.ro 33) ma esse per altro restano sempre Chiese, vale a dire la Casa di Dio, quindi e la soldatesca e la sbiraglia, come pure il cannone, all’oggetto dell’Elefanticidio non entrarono nel suddetto dall’Elefante poeticamente supposto asilo, se non in conseguenza degli ordini rilasciati dall’Autorità Ecclesiastica, Politica, e Militare.

38 - Lo spettacolo in fatti riuscì nuovissimo, e la susseguente descrizione, relativa al quadro in fronte del Libro è di tutta la più scrupolosa verità.

39 - La vera causa poi fu il peso di libre 4622 grosse Venete alle quali si deve aggiungere il sangue tutto perduto.

40 – Leggasi il N.ro 1 lettera S.

41 – Le carni tutte (eccettuate quelle che furono trafugate) e molte viscere furono trasportate al Lido per ordine sanitario, ed ivi sepolte perché cominciavano a putrefarsi.

42 – Leggasi il secondo Foglio stampato e pubblicato, ma si osservi principalmente la lettera G.
Esso è il seguente fedelmente copiato.

SECONDO FOGLIO

Che dinota le operazioni fatte nell’Isola della Giudecca in riguardo all’elefante che si è trasportato nella Specola di Padova.

Se l’avvenimento inaudito di quel famoso Elefante ha dato motivo colle di lui furie e morte a tante meraviglie, e sorprese: maggiormente ora interessare deve la curiosità d’ognuno per la seguita anatomica incisione del medesimo.
Egli è adunque che si rende partecipe il Pubblico dei risultamenti della singolare operazione esperita da intelligenti Professori, nei dettagli seguenti, e fedelmente raccolti da un amatore di Storia Naturale.

A – Il giorno 16 Marzo, dopo varie scariche di moschetteria, e di due cannonate, finalmente cessò di vivere il grosso animale, indi fu trasportato nell’Isola della Giudecca, nella soppressa Chiesa di San Biagio, ove era disposto opportunamente il necessario per la esecuzione anatomica.

B – Subito scaricata la gran bestia, la di cui mole recava sorpresa, fu pesata, e trovata precisamente libbre 4622 (senza il sangue).
Fu poscia diligentemente incisa, e levati i visceri, esaminati in ogni loro parte, si rinvenivano le seguenti particolarità, cioè delle molte ferite riportate da quella bestia si osservò che le palle di Moschetto avevano formate delle lievi contusioni in varie parti del corpo, a riserva d’una palla che aveva nell’occhio manco si poteva calcolare mortale.

C – Fu pure riconosciuto che delle due cannonate la principale ferita si è rinvenuta per la palla che entrata nella coscia destra restò poi avviluppata nella sinistra spalla.

D – L’Omento, ossia il reticello misurato, fu ritrovato di 112 piedi di Parigi.
Il fegato biancastro, è quasi putrefatto.

Il cuore assomigliante a quello di un cavallo.
La milza di otto quarte di larghezza.
Gli intestini, benché offesi da ferita, recarono motivo a delle particolari indagini, e segnatamente per la loro forma e grossezza.
La carne di color rosa, e pesante.
L’ossame di analoga grandezza e solidità in ogni parte.

E – La sua proboscide d’un tessuto membranoso, e cartillaginoso.

F – Finalmente la pelle di varie grossezze, la maggiore delle quali fu osservato nella testa.
Un solo dente fu rinvenuto, e considerato l’animale d’anni 50.

(Ciò è falso. Lo scheletro esiste non ancora totalmente unito, ma intiero nel Gabinetto dell’Università di Padova, unitamente alla pelle già quasi totalmente preparata. L’autore visitò il suo Eroe nel giorno 24 agosto 1819 e trovò avere quello tutte e due i denti, bensì piccioli, e da altre osservazioni sulle ossa delli piedi fu fatto persuaso da quel degnissimo Professore di Storia Naturale nella detta Università il Sig. Stefano Renier che l’Elefante poteva appena contare 50 anni).

G – Ridotto scheletro e preparata la di lui pelle da esperti Professori dell’arte, formerà in complesso un ornamento singolare alla Pubblica Galleria di Storia Naturale, (esistente nell’Università, e non nella Specola, come fu superiormente detto erroneamente).

45 – Veggasi la Annotazione precedente N.ro 42 alla lettera G.

FINE

Bibliografia essenziale

* Pietro Buratti (1722-1832) – Autore di “Elefanteide“, poema costituito da 832 endecasillabi in ottave, pubblicato a Venezia nel 1988 da Filippi Editore con premessa e note di Tiziano Rizzo.

Poemetto brillantissimo, sagace, esilarante, spesso finissimo, e tale da confermare la statura del Buratti, prima figura della poesia dialettale veneta dell’Ottocento (55.824 versi complessivamente) di cui fu entusiasta ammiratore Stendhal che fece conoscere a lord Byron …le deliziose facezie di questo poeta incantevole”.

Un poemetto in cui l’elefante fa la parte dell’eroe e del martire, le truppe asburgiche sono i feroci persecutori e viene messo alla berlina anche l’Imperatore Francesco I d’Asburgo”. Ragion per cui l’Autore risulta condannato a un mese di prigione.

Mario Pieri di Padova, il 29 luglio 1819 lo commenta così: “La sera al Caffè, nel nostro crocchio ristretto, ho udito leggere dal Prof. Gallino varj brani di un poemetto M.S. in ottava rima intitolato l’Elefanteide, il cui soggetto è la collera e la morte dell’elefante, avvenuta a Venezia nello scorso carnevale. Il poemetto è scritto in dialetto veneziano da un Sig. Buratti, ed è libero, satirico, e stomachevolmente osceno, come sono d’ordinario le poesie di quel garbato signore, e bisogna penar molto, e perdersi in un pelago di sozzure e di nojose lungaggini, per trovare qua e là qualche ottava felice, e qualche tratto di vero spirito”.

* Pietro Bonmartini – Autore de “L’elefanticidio“con incisione originale, poema costituito da 556 versi in quartine, pubblicato nel 1819 dalla Tipografia Andreola Venezia (Editore l’Autore). Unica edizione bibliotecata.

Il nobile padovano Pietro Bonmartini autore de “L’elefanticidio” è sicuramente un avo del conte Francesco Bonmartini di Giovanni, nato a Padova nel 1869 e morto a Bologna il 28 agosto 1902, assassinato con 13 pugnalate, perché marito disagiato e disagiante di Linda Murri, figlia del Prof. Augusto Murri. Rampollo della casata Bonmartini, quindi, originaria di Monselice, edificatrice del Palazzo omonimo in via San Francesco a Padova prospiciente l’imbocco di Via Galileo.

Non risultano bibliotecate altre sue pubblicazioni.

* Emanuele Antonio Cicogna (Venezia 1789 – ivi 1868) - Protocollista al tribunale di Venezia e diarista cittadino, autore di una epigrafe latina incisa su una lapide marmorea collocata il 13 novembre 1819 su un muro dell’atrio del Palazzo Mangilli Valmarana (già Palazzo Smith), Strada Nova – Cannareggio 4392.

Il Cicogna gode notorietà per aver compilato un Saggio di bibliografia veneziana (1847) e raccolto Iscrizioni veneziane (6 voll., 1824-53): donando, poi, al Museo Correr di Venezia la sua preziosa biblioteca.

Il testo dell’epigrafe diffuso clandestinamente, stampato con incisione e volantinato.

ANNO. M. DCCC. XVIIII

ELEPHAS. IN. SPECTACULUM. VENETIAS. ADVECTUS

QVVM. IDIB. MARTIIS. NOCTUV. IN. SEPTUM. MVNITIUS. DVCERETUR

IMPERII. CONTRA. MOREM. IMPATIENS

CVSTODE. PROBOSCIDE. ARREPTO. INQVE. SVBLIME. IACTO

PEDIBVSQVE. AD. INTERITUM. PROTRITO

DEIN. PER. VICVM. OBVIIS. QVIBVSQ. SVBVERSIS. DIRVPTIS

VALVISQ. TEMPLI. ANTONINI. MART. IMMANI. IMPETV. PATEFACTIS

POST. CLADEM. SVPELLECTILIS. PAVIMENTIQVE

CRVRIBVS. POSTICIS. IN. SEPVLCRI. LAPIDEM. A. SE. INFRACTVM

DEMISSIS. IMPEDISQVE

DVPLICI. TORMENTI. BELLICI. ICTV. INTERFECTVS. EST

CVIVS EXITIALIS. INSVETIQ. FACTI. MEMORIAM

ANG. FVCCIVS. GRADONICVS. FRANC. CATANEUS. EMANVEL CICOGNA

POSTERITATI. TRADENDAM. CVRAVERUNT

* Niccolò Zanon – Autore di “I curiosi accidenti occasionati dall’Ellefante in Venezia nel 1819” con farsa“, commedia dialettale rappresentata il 2 marzo 1821 (una tantum), con annuncio nella Gazzetta Privilegiata di Venezia, dalla Comica Compagnia Luigi Favre e Piomarta, “…fra un gran romore di fischi”, al Teatro S. Luca (prima che sia ri-nomato Teatro Apollo e poi Teatro Goldoni nel 1875).

È possibile ipotizzare che l’autore della commedia sia l’editore Niccolò Zanon di Padova.

Per quanto riguarda Luigi Favre (Genova 1775-1840) considero opportuno trascrivere ciò che segue. Si diede all’arte assai giovine, esordendo qual primo amoroso nella Compagnia Ligure di Domenico Verzura. Vagò poi per varj anni in compagnie di second’ordine, ora socio, ora stipendiato; finchè, divenute adulte le figliuole Giulietta e Carmelina, formò una buona compagnia, che condusse ora con prospera, or con avversa fortuna, e in cui la prima sosteneva con molta bravura il ruolo di prima donna, e l’altra di amorosa. Passata poi questa con ottima riuscita al ruolo di prima donna, la Giulietta si diede a quello di seconda donna e di madre. (Sic! in “Comici Italiani” di Luigi Rasi, Fratelli Bocca Editori, Firenze)

* Ferdinando Gumppenberg – Creatore del mazzo di tarocchi lombardi “Mestieri e Vedute di Milano”. The original pack is from ca. 1820 (Edizioni del Solleone, 1982).

Tarock packs usually depict scenes from “real life”, and trump XXI. Elephants walked into my life when I was about 15-y-o or so. Within a year, I suddenly had six elephants, of different sizes and shapes, staring at me from my window sill. Friends and relatives travelling in different places, unaware of each other, all brought me an elephant as a souvenir. Final stroke was a pendant my friend brought me from Amsterdam, featuring Ganesha. I was beginning to be afraid that I might drown – in elephants. That pendant has since become one of my favourite pieces to carry with. To me Ganesha stands (or sits) for a protective deity, even though this isn’t exactly his primal function, at least from a traditional point of view. Association with egyptian god Thoth seems also a natural thing, both representing knowledge, wisdom, and writing. Elephants I link with tenacity, memory and strength. Elephants can also be found in Tarot (big surprise – what cannot..), at least in Crowley-Harris Thoth deck with Atu V – Hierophant, who’s got an elephant among the many creatures circling the card. Another example is from a tarock pack by Ferdinando Gumppenberg, named “Mestieri e Vedute di Milano”.

* Stuart Kaplan writes (The Encyclopedia of Tarot, Vol. II, p. 432). “XXI portrays the dog Tofino who was written about in a newspaper story of Sunday, March 28th, 1819. Tofino belonged to an Italian dragoon. They went to war in Spain together and the master was killed in an explosion. Tofino somehow returned to Milan and would not move from the sentry box where his master had stood guard. The citizens fed the old and blind dog, and he died on September 20th, 1819. Tofino is shown curled up on the ground with another dog nearby. The reverse shows an elephant killing his trainer, an event that was talked about far and wide.

On March 15th, 1819, an elephant from the zoo of the king of Württemberg was transported to the Riva degli Schiavoni in Venice. It refused to disembark from the boat, and, after mauling its trainer, was loose on the streets along the Riva. It was finally killed by a gunshot”.

Albano Trevisan: “A Venezia l’altro teatro”, Centro Internazionale della Grafica di Venezia Ed. 1990.

Nel cap. IV “Mostratori, domatori e serragli” notizia e illustra l’elefante custodicida con le riproduzioni di due stampe d’epoca (pp. 38 – 39).

Guido Fuga e Lele Vianello: Autori di “Corto sconto”, Lizard Edizioni 1997.

Citazione dell’elefanticidio con illustrazione sommaria a pag. 63, ignorando (o tacendo) la bibliografia nota: ragion per cui l’elefante ribelle e custodicida risulta ucciso nel mese di febbraio (anzichè marzo) “…dalla Regia Marina con tanto di bombarda e schieramento militare“ in Campo della Bragora, dopo aver danneggiato la Chiesa San Giovanni Evangelista, anzichè la Chiesa Sant’Antonin.

Autori Vari (a cura di Margherita Turchetto) : “Morte di un elefante a Venezia. Dalla curiosità alla scienza“, pp. 80, ill. 18, Università degli Studi Padova, Canova Ed. Treviso 2004.

Pubblicazione miscellanea con testi di 10 Autori diversi. Dell’elefanticidio si legge soltanto in 12 + 9 pagine, comprensive di 5 illustrazioni.

LE INCISIONI

PD 1968 – L’elefante custodicida – Incisione su rame mm.245×305, con questa didascalia: Ecco la forma di quel famoso Elefante, che fu fatto vedere il Carnevale scorso in Venezia, e che dovendolo poi trasportare altrove la notte del 15 marzo 1819, uccise il di lui Custode e obbligò per tal motivo il suo Padrone a farlo morire mediante due colpi di Cannone. La sua altezza era di piedi 7,5 e due pollici: fu pesato morto e trovatolo di libre 4622 grosse quale sarà posto nella Galleria di Padova.

PD 6199 – “Caccia all’elefante” – incisione su rame

CORRER 5164 – L’elefante custodicida – Incisione su rame mm.245×305, con epigrafe in latino.

DIDASCALIE PER UN EVENTUALE “ELEFANTICIDIO” A FUMETTI

- L’elefante attrazione in apposito “casotto” sulla Riva degli Schiavoni, tra i due ponti, con altri animali esotici, durante i giorni del Carnevale, ammirato e osservato da un pubblico curioso.

- Vari tentativi d’imbarco dell’elefante, allettato dal suo giovane domatore con acqua da bere e cibarie varie da gustare. L’isola di San Giorgio sullo sfondo.

- Le guardie austriache fronteggiano il pubblico presente sulla Riva degli Schiavoni. Numerosi curiosi osservano l’imbarco in piedi all’interno di alcuni battelli galleggianti.

- L’elefante spaventato e con la proboscide inarcata si rifiuta all’imbarco, allarmando le guardie e il pubblico.

- L’elefante aggredisce il suo giovane custode attorcigliandogli il collo con la proboscide, lo solleva, lo sbatte per terra e lo uccide, provocando un fuggi fuggi disordinato sulla Riva degli Schiavoni.

- Le guardie fronteggiano l’elefante. Un battello, ondeggiante e in subbuglio per ciò che accade sulla riva, rovescia in acqua i suoi occupanti.

- L’elefante deambula infuriato sulla Riva degli Schiavoni tra i due ponti Del Sepolcro e della Cà di Dio, seguito dalle guardie in armi.

- L’elefante urta a distrugge alcuni casotti installati per l’esposizione di altri animali esotici. Urta e distrugge anche il chiosco in legno di un fruttivendolo, divorando la frutta.

- L’elefante entra in una caffetteria sfondando la porta, con le guardie che cominciano e sparargli contro.

- L’elefante s’infila nella Calle del Dose larga due metri che conduce in Campo della Bragora, inseguito dalle guardie.

- L’elefante percorre una calle travolgendo ciò che non riesce ad evitare.

- L’elefante entra nella Calle del Forno Vecchio, priva di uscita come un cul-de-sac, dove sfonda una porta, entra in una piccola corte dove danneggia un pozzo di marmo e una scala di legno, terrorizzando chi vi abita (una vedova con quattro figli), bersagliato dalle guardie che continuano a sparare con i loro fucili.

- L’elefante percorre la Salizada Sant’Antonin costeggiando la chiesa, diretto al ponte visibile sullo sfondo.

- L’elefante non riesce a salire sul Ponte Sant’Antonin, perciò indietreggia rinculando fino a colpire e sfondare la porta della chiesa.

- L’elefante nella Chiesa Sant’Antonin: urta e infrange la colonna marmorea che regge l’acquasantiera, travolge gli scranni, sfonda quattro lastre tombali, sprofonda in una di esse con entrambe le zampe inferiori immobilizzandosi.

- Le guardie mitragliano vanamente l’elefante con i loro fucili.

- All’esterno alcuni volontari praticano un buco nel muro della chiesa.

- Sopraggiungono gli artificieri spingendo un cannoncino prelevato nell’Arsenale poco distante.

- Gli artificieri posizionano il cannone con la bocca di fuoco nel buco del muro, direzionato per colpire l’Elefante immobile con le zampe sprofondate nel pavimento della chiesa, posizionato in modo da fronteggiare col deretano la bocca di fuoco del cannoncino.

- Gli artificieri uccidono l’elefante sparando due colpi col cannoncino.

- L’elefante si dissangua abbattuto sul pavimento.

- Lo scheletro dell’elefante esposto nel Museo Zoologico a Padova.

http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=104199

E’ UNA EXPO RIEVOCATIVA “L’ELEFANTICIDIO DEL 1819”

COMPAGNIA DE CALZA “I ANTICHI”

(www.iantichi.org)

Titolo dell’esposizione: L’ELEFANTICIDIO DEL 1819

Artisti: FRANCA BATTAIN – GIUSEPPE BOSICH – BRUNO CARRETEIRO – ILZE JAUNBERGA – CARLO ROSSI - SILVANO SIGNORETTO

Vernissage: 26 febbraio 2011 – ore 17

Città dell’esposizione: Venezia

Sede: Salizade del Pignater e Sant’Antonin

Patrocini: Carnevale di Venezia – Associazione Culturale Italo-Baltica

Organizzazione: Carnascial ART escaAssociazione Culturale Compagnia De Calza “I Antichi”

Critico curatore e presentatore: Enzo Rossi-Ròiss

Info: 339.6918363

Opere d’arte plurinsediate e testimonianze rievocative dell’elefanticidio compiuto nella Chiesa Sant’Antonin del Sestiere Castello a Venezia nel 1819

Rievocazione verbo/visiva con opere plurinsediate di Artisti Diversi, portatori consapevoli di eccellenze creative ed esecutive diverse

(La narrazione in: http://www.rossiroiss.it/blog/?p=279) –

http://www.iantichi.org/content/2011-programma-de-i-antichi-xxx)

Gli artisti

FRANCA BATTAIN – Due grandi dipinti su tele che simulano formalmente la propaganda cartellonistica delle attrazioni circensi, protagonista un elefante agghindato per la rappresentazione iconizzata.

GIUSEPPE BOSICH – Sei opere, eseguite rievocando d’istinto e senza esitazioni o ripensamenti un elefantastico ludico, su carta paglia trattata con flottage a olio, tratto a pennarello indelebile e luci in acrilico bianco.

BRUNO CARRETEIRO – Tre d’apres disegnati su tele da mano dotata per creare interni, esterni e figure, in dimestichezza con la narrazione disegnata con o senza fumetti semantizzati.

ILZE JAUNBERGA - Un grande dipinto su tela con l’elefante che incombe fantasmato nell’immaginario carnascialesco, rievocato da personaggi che simulano ilarità e seriosità mascherati per divertire divertendosi. L’opera ha la struttura formale e la drammaticità di una pala d’altare pervasa di simbolismi nel cui insieme rappresentato il grande animale, destinato a morire cannoneggiato, assume il ruolo di martire eroico e sacrificale suscitando sentimenti pietosi.

CARLO ROSSI – Sei d’après pirografici eseguiti su supporti legnosi da mano azionata con perizia eccellente perché l’iconografia originaria risulti immediatamente riconoscibile.

SILVANO SIGNORETTO – Scultura policroma modellata a Murano da un maestro vetraio noto e sperimentato, d’aprés bozzetto concepito ad hoc dal Rossi-Ròiss presente nella fornace in corso d’opera.

Location espositive: Muranero – Marsareta Lola – Giorgia Butique – Questoequeo – Alice in Wonderland Fine Arts Gallery – Veneta Marina Nautica – Marchiol Illuminotecnica

Alcune opere sono visibili in:

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2564780.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2583054.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2591056.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2593185.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2595576.html

WEB-ECO-PRESS

http://arteinforma.blogspot.com/2011/02/compagnia-de-calza-i-antichi.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2608239.html

http://www.iantichi.org/content/carnascial-art-esca-2011-resocontata

INFO CON IMMAGINI NEL WEB:

http://www.rossiroiss.it/blog/?p=279

http://www.iantichi.org/content/di-un-elefanticidio-compiuto-chiesa-venezia-nel-1819

http://www.iantichi.org/content/2011-programma-de-i-antichi-xxx

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2564780.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2583054.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2591056.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2593185.html

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2595576.html

Titolo dell’esposizione: L’ELEFANTICIDIO DEL 1819

Artisti: FRANCA BATTAIN – GIUSEPPE BOSICH – BRUNO CARRETEIRO – ILZE JAUNBERGA – CARLO ROSSI - SILVANO SIGNORETTO

Vernissage: 26 febbraio 2011 – ore 17

Città dell’esposizione: Venezia

Sede: Salizada Sant’Antonin

Patrocini: Museo DiocesanoCarnevale di Venezia – Associazione Culturale Italo-Baltica

Organizzazione: Carnascial ART escaAssociazione Culturale Compagnia De Calza “I Antichi”

DI ADRIANO BERENGO GLASSBOSS SELFPROMOTER
ORGANIZZATORE DELLA EXPO BERTIL VALLIEN
Collaterale della Biennale Architettura a Venezia
http://lampisterie.ilcannocchiale.it/2012/08/24/di_adriano_berengo_glassboss_s.html
http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2751632.html
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Imperdibile l’expo Bertil Vallien (svedese del 1938) nelle sale del Palazzo Cavalli Franchetti, collaterale prezzolata della Biennale Architettura (28.08 – 25.11.2012 in Campo Santo Stefano a Venezia). Imperdonabile che a tale artista non sia stata data visibilità espositiva a Venezia in concomitanza con una delle Biennali dell’Arte degli anni scorsi. E’ una expo retrospettiva allestita con opere plastiche vetrose made in Svezia, in contemporanea con l’expo Scarpa-Venini nelle Stanze del Vetro sull’Isola San Giorgio allestita con opere vetrose made in Murano.Vetrosità artisticata diversamente eccellente a confronto, quindi, anche diversamente massmediatizzata e accreditata, per collezionisti e studiosi, considerabile diversamente dalla vetrosità artisticata della Fucina degli Angeli esposta dal Museo del Vetro a Murano per celebrare Egidio Costantini e giubilarlo nell’anno centenario della sua nascita. In barba a ogni iniziativa espositiva da altri intrapresa col proposito di promuovere e tutelate la vetrosità artisticata made in Murano, presupponendola portatrice di plus-valore ineguagliabile e virtuosità inimitabili, come ho scritto redigendo altro testo. L’impresa è stata compiuta da Adriano Berengo (veneziano del 1947), imprenditore con fornace propria e tanto altro a Murano e Venezia, boss di Glasstress che nelle sale di Palazzo Cavalli Fianchetti s’insedierebbe stabilmente come curatore e monetizzatore di esposizioni allestite con opere vetrose, pagando il dovuto a chi di dovere (come suol dirsi!), in barba (contrariamente) alla finalità statutarie dell’Istituto Veneto per le Scienze Lettere e Arti.
Lo stesso Adriano Berengo self made man (dall’ago al miliardo), biografabile con la narrazione di un vissuto che qui di seguito zibaldonizzerò ad usum narrazione più esaustiva.

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A Venezia, giorno verrà in cui sul muro esterno di un condominio popolare del Sestiere Castello, mappato al n.1442 della Calle Colonne nel complesso abitativo angiportesco nomato “Marinaressa“, con doppio accesso sulla Riva dei Sette Martiri, per chi si direziona a via Garibaldi, sarà possibile leggere una lapide incastonata per commemorare un enfant du pays, di quelli che ce l’hanno fatta, con incisa questa iscrizione.


Nell’appartamento sottotetto al secondo piano di questo condominio ha abitato Adriano Berengo generato da un falegname arsenalotto nell’anno 1947, destinato ad ereditare il 50% di 65 mq abitabili, scarsamente pregiati, in con-proprietà con l’unico fratello minore Roberto. Divenne imprenditore vetrario con fornace di sua proprietà e maestri vetrai suoi dipendenti, praticando (prima) e promuovendo (poi) il commercio di manufatti vetrosi modellati nelle fornaci di Murano d’aprés creazioni di artisti: tanto da arricchirsi a dismisura perchè naturalmente abile nell’organizzare la commercializzazione a caro prezzo perfino dell’invendibile senza prezzo.

Chi scriverà tale iscrizione, quasi certamente sarà un conoscitore dell’ enfant du pays, nomato come un famoso imperatore romano letteratureggiato da Marguerite Yourcenar. La scriverà un autore di epigrafi epigono di Emanuele Antonio Cicogna (1789-1868): l’insigne raccoglitore/trascrittore di testi lapidei commemorativi, editati col titolo “Delle iscrizioni veneziane“, in sei volumi tra il 1824 e il 1853. Sarà, perciò, un pubblicista che avrà scritto anche altro, divulgato da media cartacei per bio-bibliografare l’Adriano Berengo raccontato sommariamente come qui di seguito.

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Adriano Berengo ha cominciato a intrattenere rapporti ravvicinati con l’artisticità sposando Antonietta (già incinta), figlia acculturata di un pittore veneziano che ha trascorso la sua esistenza dipingendo e insegnando a dipingere senza gloria e senza infamia (Sandro Sergi 1922-1998). Disponendo di un sapere culturale scolastico acquisito presso un Istituto Tecnico Nautico che lo ha diplomato radiotelegrafista, idoneo a insegnare l’apprendimento dell’alfabeto Morse (prima). Con possibilità di accesso, previo esame di ammissione, alla facoltà universitaria che lo ha laureato conoscitore della lingua inglese (poi), predestinandolo a intrattenere rapporti con persone anglofone.
Si è iniziato al commercio dell’oggettistica vetrosa muranese, sia decorativa sia d’uso, operando nel ruolo di “esterno“ (cosiddetto!) pro sale di vendita di alcune fornaci (Murano Venezia – Bisanzio – Marco Polo), incaricato d’intrattenere rapporti proficui con “sgaloppini“, “apportatori“ e “intromettitori“ (cosiddetti!). Fino al momento in cui, sperimentatosi come docente precario di alfabeto Morse e lingua inglese poco redditato dal 1977 al 1981, con moglie e primogenito (Marco) nato nel 1972 bisognoso di alimenti, rilevò parte di una fornace (la Bisanzio), associato ad altri (Roberto Salviato, Carla Rigo e Dino Giusto), per dare inizio alla sua attività imprenditoriale.
Ha ricoperto il ruolo di amministratore dell’azienda vetraria Marco Polo, maturando una liquidazione di 500 milioni pre-euro nel momento in cui decise di mettersi in proprio, come suol dirsi, ruolandosi titolare-ombra di una mini impresa commerciale, terrazzata sulla Marco Polo e intestata Scandiuzzi (fratello di Doriana), che nomò Pinocchio (per le tante bugie già dette, o che avrebbe continuato a dire), prodromo di ogni altra impresa “bugiosa“ successiva diversamente nomata. Familiarizzando con Paolo Valle, artista veneto coetaneo nato nel 1948, compagno di bevute al Lido, ha conosciuto il pittore Riccardo Licata nato nel 1929. In Artefiera a Bologna ha incontrato l’artista austriaca Kiki Kogelnik (1935 – 1997) alla quale ha proposto con successo di ri-produrre in vetro le sue maschere create modellando ceramica. Ha intrattenuto rapporti di amicizia con Gianfranco Chinellato in dimestichezza col la scrittura poetica, senza divenire lettore di libri scritti da poeti. Ha gestito un primo negozio a Murano, rilevato da Simone Genedese.
Durante una vacanza alle isole Canarie ha incontrato una cittadina olandese (Rietje Mackenbach) separata dal marito e con figlio unico disadattato a carico, titolare di un bar frequentano da artisti a Arnhem, che ha poi assunto il ruolo di sua seconda moglie nel 1991, essendo nel frattempo la sua prima moglie (Antonietta Sergi) divenuta madre di due figlie concepite in rapporto di coppia con altro partner.
Come organizzatore di mostre d’arte allestite con vetri d’artista ha esordito a Casarsa della Delizia nel Friuli di P. P. Pasolini, replicandosi a Venezia in alcuni spazi del Museo Diocesano, con opere vetrose di Vito Galfano (olandese di origine siciliana) e Robert De Fritz.
Durante gli anni Novanta, ha prodotto e mercanteggiato in gran numero oggetti materiali costituiti da materiale vetroso artisticato, stimolato dalla moglie olandese (destinata a ruolarsi gallerista autonoma in location di proprietà personale, divorzianda nel 2000).  Caratterizzandosi e propagandandosi anche come brand diversamente nomato ed eccellendo nel rebranding o Xe Service. Tanto da poter aspirare a divenire un giorno brand/lasciapassare per esporre in Art Basel, Fiac Paris, Arco Madrid, Artefiera et location espositive similari: fiere leaders oggetti di desiderio inibito dal 2000 (anno dell’unica presenza in Arco, “infortunata“ da una lite giudiziaria con Egidio Costantini de “La Fucina degli Angeli“).
L’arricchimento personale ha cominciato a realizzarlo insediandosi come Berengo Studio in Calle Larga San Marco 412-413, negli spazi di una ex farmacia d’antan, dove ha incrementato il mercanteggiamento e la monetizzazione, soprattutto durante i primi anni successivi al 2000, di una variegata pupazzetteria vetrosa policroma raffigurante  antropomorfismi e zoomorfismi modellati da creativi naitiviteggianti (Vigliaturo, Zeppel-Sperl, Ripolles, Rezzonico et similia per es.), refrattari a ogni artisticità spiazzante e mortificante.
Fino all’anno 2009, anno primo di Glasstress, evento collaterale prezzolato della Biennale d’Arte insediato nel Palazzo Cavalli Franchetti a Venezia, mentore/madrina la glassologa Rosa Barovier Mentasti, con ticket per i visitatori: ibridato poi tanto da caratterizzarlo, già nel 2011, strutturato come expo collettiva fierizzata e remunerativa a priori, con curatela collettiva eterogenea, acquisibile  e curriculabile previa quota di partecipazione pagata anticipatamente da ogni singolo artista, oppure dal gallerista mercificatore di ogni singolo artista. Catalogo realizzato astutamente a posteriori con più copertine, ognuna concordata (commissionata) ad usum promozione dell’artista copertinato, previo acquisto anticipato di un tot copie.

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Scritto ciò, di Adriano Berengo considero opportuno continuare a scrivere ciò che segue, compiendo un esercizio di stile scrittorio a me congeniale.
Adriano Berengo è imprenditore che interloquisce sorridente con ogni ipotetico cliente, esprimendosi con linguaggio imbonitorio sostenuto da gestualità giullaresca, ogni qualvolta mira a costituire un sistema patafisico di segni lusingatori forieri di occulta persuasione all’acquisto degli oggetti materiali vetrosi che propone e decanta come oggetti dotati di plus-valore artistico, custodia e garanzia di plus-valore monetario, dichiarandoli modellati tutti nella sua fornace a Murano.
Un imprenditore divenuto artefice incontestabile di una impresa organizzativa e commerciale esemplare, fucina d’interrelazioni redditizie delle quali è governatore “ubuesco“ autoritario, supportato da collaboratori, sia esterni sia interni, tutti ruolati “palotini“ con l’obbligo di applaudire ogni sua iniziativa e condividere ogni sua decisione, pena l’interruzione del rapporto lavorativo.
Un imprenditore che eccelle nella pratica del rebranding o Xe Service fiscoelusore/ingannatore, variamente nomato Venice Project – Berengo Studio 1989 – Berengo Centre for Contemporary and Glass: non più nomato (e fiscalizzato)  Berengo Fine Art – Berengo Studio – Berengo Collection.

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L’iperluogo natio biografante che lo logotipa è Via Garibaldi, la lunga e larga arteria stradale veneziana che non risulta nomata Calle, contigua all’Arsenale nel Sestiere Castello: l’equivalente di un villaggio originario popolare angiportesco dove ha trascorso innumerevoli “sabati“ leopardiani adolesceziali…intra di quei / ch’ebbe compagni nell’età più bella, nel ruolo di aspirante imprenditore vetrario di successo.
La via Garibaldi complesso urbano memoriale location dei primi innamoramenti, di un primo matrimonio riparatore e dei disagi post-bellici patiti durante gli anni adolescenziali pre miracolo economico: dai quali non è ancora riuscito ad affrancarsi psicologicamente, malgrado il benessere  economico miliardario conseguito e la promozione socio-culturale medio-borghese acquisita.
La via Garibaldi dove abita la zia materna Giulia novantenne, sitter e badante del suo primogenito Marco, educato e accudito dalla mamma, divenuta moglie prematuramente separata e poi divorziata, madre anche di due figlie concepite in rapporto di copia con altro partner.
La via Garibaldi (n.1533) del Ristorante Giorgione di Lucio Bisutto (folksinger dialettale veneto), dove il Berengo si reca frequentemente a mangiare le specialità delle isole della laguna con clienti-ospiti stranieri e conoscenti d’antan garibaldo-sestierati, agli occhi dei quali si esibisce nel ruolo di enfant du pays divenuto boss onusto di gloria imprenditoriale, che molto ha già ottenuto e tant’altro può ottenere, pagando i conti con varie carte di credito: cittadino veneziano residente al Lido in villetta unifamigliare di sua proprietà con moglie esotica (la terza) giovanissima, interrelazionato in più luoghi stranieri abitati e frequentati da anglofoni.
La via Garibaldi spazio pubblico collettivo dove intrattiene rapporti weekendificati con i due figli “infanti“ Hana-Mila e Adriano II°, generati già sessantenne con la giovane moglie Marya Kazoum, artista performer libano-canadese over30, che esibisce come trofei testimonials della sua virilità stagionata, anche ad astanti sconosciuti che lo ruolano nonno istintivamente, tanto risulta fuori ruolo fisicamente come loro papà.
La via Garibaldi dove risulta insediato al numero civico 1639 un negozio nomato Alice in Wonderland Fine Arts Gallery gestito da Sergio Parma, sperimentato venditore di oggettistica vetrosa e suo consuocero mancato: compagno d’incursioni commerciali giovanili in territorio straniero e co-dormiente in una Peugeot blu per economizzare alla fine di giornate concluse economicamente in bianco.

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CONCLUDENDO – C’è qualcosa di dolorosamente solipsisistico nella condizione di self-mad-man del Berengo, al quale il successo economico non risulta bastevole per l’affrancamento dal richiamo delle origini, nè dalla solitudine dell’uomo-isola. Un uomo divenuto artefice incontestabile di una impresa organizzativa e imprenditoriale esemplare, oltre che inemulabile, fucina d’interrelazioni commerciali redditizie delle quali è governatore “ubuesco“ autoritario e factotum autarchico, sospettoso di ogni  individualità creativa portatrice d’intellettualità inassimilabile e incontrollabile.

Adriano Berengo interviewed for Sky Arte Channel
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Written by rossiroiss

marzo 1st, 2013 at 8:20 pm