Enzo Rossi-Roiss

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GLI ARCHIVIATORI CAPOGROSSIANI HANNO GENERATO UN “AFFAIRE” CHE IMBARAZZA IL MERCATO DELL’ARTE

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Luca Massimo Barbero, Guglielmo Capogrossi, Philip Rylands
Direttore della Peggy Guggenheim Collection di Venezia
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Il gallerista torinese Giovanni Mazzoleni (a destra)

La Fondazione Archivio Capogrossi attiva a Roma dal 2012, presieduta da Guglielmo Capogrossi nipote del pittore Giuseppe Capogrossi (1900 – 1972), l’ha fatta grossa (come suol dirsi) e rischia che mal gliene incolga. Ha archiviato e certificato l’autenticità di 26 opere su carta che successivamente sono state sequestrate dalle Autorità Competenti (cosiddette!) perché segnalate come opere “false”. Tutte mercanteggiate o mercanteggiabili come opere già archiviate e autenticate da tale “Fondazione”, previo il pagamento di 800 euro per ognuna: 300 euro quale contributo per le spese iniziali di istruzione della procedura, più 500 per ogni Dichiarazione di Autenticità dell’Opera sul retro di una fotografia, scritta come quella riprodotta qui di seguito.

AC/353/GG – L’opera riprodotta a verso: tempera su carta cm. 23,5 x 13,5, firmata “Capogrossi” in basso a destra è di mano del pittore Giuseppe Capogrossi. Sul retro: dedica autografa “per il caro Giovanni (tuo) Capogrossi; inoltre, in basso a sinistra, scritto a firma di Diego Pavanello Comisso. Tale opera, infatti, fa parte di una serie di tempere provenienti dalla famiglia dello scrittore Giovanni Comisso (1895 – 1969), amico di Capogrossi, eseguita tra il 1966 e il 1968 forse per una mostra, con le quali vengono riproposti – con variazioni – moduli compositivi di opere dei momenti salienti e diversi del percorso segnico capogrossiano iniziato nel 1949 – 1950.
Roma, 13 giugno 2015 (a sinistra). Timbro della Fondazione Capogrossi con firma autografa di Guglielmo Capogrossi (a destra).

E’ stato così generato un “affaire” che sarà giocoforza nutrire e allevare col supporto di studi legali contrapposti, per la tutela di interessi economici e d’immagine di “parti” e “controparti” che a questo punto considero opportuno “nomare”: la Fondazione Archivio Capogrossi insediata a Roma, la Galleria Mazzoleni di Torino, il collezionista privato Antonio Tessariol di Pieve di Soligo, Diego Pavanello Comisso erede dello scrittore Giovanni Comisso, Giorgio Degan corniciaio veneziano insediato a Mestre e Marcon. Tutti istruiti per rispondere alle damande dei giornalisti: “Non ho nulla da dire, causa indagini in corso”.

Sic stantibus in rebus, giudico necessario, quindi, preconizzando la necessità di redigere altro testo più sostanzioso, dossierare in ordine alfabetico ciò che è già accaduto, stabilendo ciò che segue.

A) – Le 26 opere in discussione risultano provenienti dal Diego Pavanello Comisso, ereditate come opere donate allo zio scrittore (non mi risulta appurato quante!) dal pittore Giuseppe Capogrossi. Docet l’insieme di scrittura autografa,affettuosamente amicale del pittore romano vergata per lo scrittore veneto sul retro di opere personali cartacee, che trascrivo integralmente qui di seguito.


All’amico Giovanni Comisso tanto lontano e tanto desiderato. Capogrossi

(Roma 6-III-59)

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Caro Giovanni,

come vedi tutto e più di quanto promessoti, ti è giunto! Serenità raggiunta, attendo tuo notizie. Come un tempo ti abbraccio con gli auguri più belli. Tuo Capogrossi.

(Roma 3-IV-68)

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! ! ! Ti abbraccio tuo Capogrossi
(senza data)

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a Giovanni
(senza data sul retro di una superficie rossa e nera su carta cm.30,5×22,5 )

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-Pirosseni -
(senza data sul retro di un carta cm.19×29)

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Caro Giovanni

mitico e sincero amico, visto che hai trovato quel “sereno equilibrio” che tu cerchi in tutto, anche nelle mie superfici e nelle mie forme, di molto aumenta il mio piacere nell’inviarti anche questo ricordo veneziano! Gli “amichi fogliettini” (così li chiamasti sorridendo) che ti inviai e che ti invio, ti aiutino ancor più alla migliore lettura delle mie cose! Crea occasioni d’incontro! Con gli auguri di sempre, ti abbraccio fraternamente. Tuo Capogrossi
(Roma 6-V-68)

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B) – Il Diego Pavanello Comisso ha ceduto le 26 opere “indagate” al corniciaio Giorgio Degan di Venezia, accreditandole soltanto col supporto della documentazione autografa del Capogrossi, ignorando che sarebbero state cedute successivamente al gallerista Gianni Mazzoleni insediato a Torino nel Palazzo Panizza e a Londra in Albemarle Street – distretto artistico di Mayfair.

C) – Il collezionista privato Antonio Tessariol, ex titolare di una rinomata pasticceria omonima a Treviso, è stato massmediatizzato negativamente dalla “Tribuna”/Treviso (1 giugno 2016) e dal “Gazzettino”/Venezia (2 e 3 giugno 2016). Lo stesso Tessariol che risulta abbia acquisito soltanto tre opere capogrossiane, procurandosi successivamente i documenti di archiviazione interloquendo nel giugno 2015 con la Fondazione Capogrossi e pagando il dovuto (euro 800 x 3).

D) – La Galleria Mazzoleni di Torino/Londra ha acquisito le opere capogrossiane, provenienti dal corniciaio Degan, giudicandole opere autentiche donate allo scrittore Comisso dal pittore Capogrossi, stabilendo i necessari rapporti con la Fondazione Archivio Capogrossi per l’attivazione della loro “archiviazione” ottenedola: stante la necessità del documento attestante l’archiviazione eseguita per il mercanteggiamento legale di opere d’artisti contemporanei autenticate da famigli beneficati dalle royalty del “diritto di seguito” post mortem dell’avo artista.

E) – La Fondazione Archivio Capogrossi ha fornito alla Galleria Mazzoleni e al Tessariol le Dichiarazioni di Autenticità scritte sul retro di fotografie riproducenti le opere esaminate, firmata soltanto da Guglielmo Capogrossi, senza l’indicazione dei nomi e cognomi relativi agli Esperti esaminatori scienziati “turnanti”, precisando che la Commissione per le autentiche… si riunisce periodicamente ed è composta dal Presidente della Fondazione e, a rotazione, da tre membri del Comitato Scientifico (sic!).

F) – La Fondazione Archivio Capogrossi si è così redditata incassando gli euro pattuiti per ognuna delle opere “archiviate” (euro 800 x 26 + euro 800 x 3, esclusa IVA): ragion per cui, alla resa dei conti (cosiddetti), può essere perseguita giudiziariamente per il risarcimento dei danni d’immagine causati sia al Mazzoleni, sia al Tessariol, dalla massmediatizzazione dell’affaire. Eventualmente in solido con i componenti del Comitato “Scientifico” addetto all’archiviazione: Barbara Cinelli (diplomata ITC – Istituto Tecnico Commerciale 1987-1992), Bruno Mantura (unico capogrossiano stagionato), Francesca Romana Morelli, Corrado Rava, Patrizia Rosazza Ferraris (esegeti epigoni, divulgatori di servizio, pervenuti alla conoscenza della artisticità capogrossiana scolasticamente in tempi posteri o postumi).


EXPLICIT CONCLUSIVO CON INTERROGATIVI

1) – Siccome il pittore Giuseppe Capogrossi ha generato anche due figlie nomate Beatrice e Olga, considero lecito chiedere alla presidenza della Fondazione Archivio: Tali figlie hanno sottoscritto Dichiarazioni d’Autenticità pro opere dell’illustre genitore post mortem dello stesso, come risulta abbia fatto il nipote Guglielmo, pre Fondazione archivista dal 2012 ?
2) – I componenti del Comitato “Scientifico”
(archivisti expertizzatori e… periti calligrafi anche!) risultano autori di testi esegetici capogrossiani originali. particolarmente significativi, apparsi pubblicati con date di annate precedenti la 1972, in periodici specifici e libri monografici, bibliografati come capogrossologi essenziali

3) - E’ possibile supporre che alcune delle opere capogrossiane in discussione, siano state ri-considerate inautentiche perché risultano spoglie di scrittura autografa del Capogrossi sul retro: presuntivamente proliferate tramite l’operatività di un abile disegnatore e colorista, noto in primis all’erede di Comisso e al corniciaio Degan col proposito di “aggiungerle” alle opere col retro “autografato”?

ADDENDA
Chi sia stato il Capogrossi conosciuto e frequentato da estimatori e conoscenti creativi coevi, lo esemplifico campionariando qui di seguito un brano della scrittrice Milena Milani (1917 – 2013) identikitaria capogrossiana inequivocabilmente d’antan.

Di nascita romana (7 marzo 1900), aristocratico di antica nobiltà papalina (era conte), laureato in Giurisprudenza, Giuseppe Capogrossi viveva nella Capitale con una moglie bizzarra, biondissima, e due figlie, Beatrice e Olga. Io l’avevo conosciuto durante la guerra, in Via Margutta, dove entrambi abitavamo in quei palazzetti ottocenteschi, dov’erano i nostri atelier, molto freddi e poco funzionali. La famiglia Capogrossi era teatro continuo di liti furibonde (lei era sposata con Prampolini, anche lui pittore; era ungherese, si chiamava Costanza Mennyey), (mi avrebbe fatto più tardi un ritratto interessante e poetico, che è esposto a Savona nella mia Fondazione). Anche se il Dopoguerra era duro, la famiglia Capogrossi dava spesso ricevimenti dove anch’io partecipavo. Un giorno, sempre a Roma, presentai Capogrossi al mio compagno Carlo Cardazzo gallerista, che arrivava da Venezia. Era il tempo in cui l’artista, che era figurativo, dopo lo scoppio della Prima bomba atomica, stava inventando un altro universo in cui il segno era predominante. L’Italia e i suoi collezionisti non l’avrebbero accettato, mentre in Francia, rapidamente, Capogrossi sarebbe diventato una star. A Albisola, tuttavia, già aperta alle novità, Capogrossi sarebbe stato invitato a presentare il suo bozzetto per la Passeggiata degli Artisti.Quei marchi bianchi e neri, da inventore delle illusioni, esprimevano sentimenti altissimi, magici addirittura. Un giorno, al Testa, gli chiesi di spiegarmi, con parole semplici il significato della sua nuova pittura.
Mi disse: “Non sono un critico, ma un pittore. Ho accanto a me le forze straordinarie della natura, quelle primordiali che possono rinnovare totalmente l’esistenza. Adesso mi sento felice. Ero stanco dei Pierrot in riva al Tevere e dei collezionisti che desideravano il loro ritratto, magari in maschera. Lo so che attualmente i miei fan se ne vanno, ma penso che verrà il momento in cui i miei segni avranno un costo sempre più alto”. È avvenuto proprio così, Capogrossi di cui si è tenuta una grande mostra nel 2012 – 2013 al Guggenheim di Venezia, e un’altra a Savona in Pinacoteca, è salito in fretta nelle classifiche mondiali. Già oggi le sue quotazioni, anche in Italia, si elevano in modo insperato e di lui si parla ovunque. Le sue gigantesche o microscopiche formiche,ferme o vaganti (chiamate anche forchette), danno i brividi per la fantasia dell’artista ( io le ho volute per il mio libro “Miei sogni arrivederci”, giugno 1960, Edizioni Images di Padova, dicembre 1973).

ANNOTAZIONE FINALE

Gradirò ricevere informazioni: con documentazione relativa a ogni opera formalmente capogrossiana proposta alla Fondazione Capogrossi, focopia del bonifico bancario di euro 300 per l’archiviazione e giudizio scritto della inautenticità. Ogni informazione documentata sarà da me dossierata per la realizzazione e divulgazione di un e-book. Docenti i miei libri intitolati “Dossier Piero Manzoni” (tomo primo edito nel 1990), “Francis Bacon disegnatore in Italia” (edito nel 1998) e gli e-book che risultano già realizzati e reperibili così linkati:

(Andrè Lanskoy) https://www.amazon.com/dp/B018829KFM

(Piero Manzoni) http://www.amazon.it/Dossier-Manzoni-secondo-Rossi-Ròiss-ebook/dp/B0143GWVMG

Published by rossiroiss, on novembre 13th, 2016 at 11:54 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati